venerdì 3 maggio 2013

Tabata, l’allenamento giapponese di pochi minuti


Bastano pochi minuti alternati al riposo per ottenere lo stesso risultato di faticosi allenamenti, sia in termini di perdita dei chili di troppo che, più in generale, di benessere psicofisico.

Sogno o realtà? Pare tutto vero, secondo il Metodo Tabata sviluppato dal Dottor Izumi Tabata, presso l’Istituto Nazionale della Salute e dell’Alimentazione di Toyo. Basato sull'intensità del lavoro fisico, l'allenamento ideato dal dottore prevede un unico programma per il perseguimento di due obiettivi: dimagrimento e sviluppo muscolare.

Al contrario di quanto si possa pensare, infatti, a parità di tempo di lavoro gli allenamenti ad alta intensità bruciano meno grassi rispetto al lavoro costante ad intensità media. L'efficacia del Tabata training risiede nei risultati, visibili già dopo 3 mesi con un impegno richiesto di soli 15/20 minuti per 2/3 volte a settimana. Ideale quindi per chi ha poco tempo da dedicare alla palestra, o semplicemente per chi cerca la soddisfazione del risultato in breve tempo.

Peccato che il Metodo Tabata non sia poi così facile da eseguire: totalizzare in maniera efficace i pochi minuti dedicati all'allenamento richiede concentrazione, costanza e fatica.

http://salute.ilmessaggero.it/benessere_fitness/notizie/tabata_giapponese_allenamento_pochi_minuti/266217.shtml


Attenzione al calcio nelle arterie: si rischia l’infarto


LM&SDP
Malattie cardiache, cardiovascolari e conseguenti infarti, ictus e così via sono tra le maggiori cause di morte o invalidità nel mondo occidentale.
Nonostante da più parti si faccia appello alla prevenzione quale migliore mezzo per evitare di esserne vittima, sono ancora troppe le persone che ogni giorno cadono vittime di un infarto o ictus.

Tra i diversi modi per prevenire queste patologie, oltre a uno stile di vita più sano e un altrettanto sana dieta, secondo gli scienziati statunitensi c’è anche il tenere d’occhio i livelli di calcio nelle arterie. Elevate concentrazioni di questo minerale, infatti, aumenterebbero di ben 6 volte il rischio di attacco di cuore e malattie coronariche.

Lo studio, pubblicato sul Journal of American College of Cardiology, è stato condotto presso il Los Angeles Biomedical Research Institute (LA BioMed) in collaborazione con altri cinque siti, e suggerisce come un monitoraggio più frequente dei pazienti con accumuli di calcio nelle arterie coronarie potrebbe aiutare a determinare il rischio di attacchi di cuore. Questo tipo di analisi diviene fondamentale, perché conoscere per tempo i livelli di concentrazione di calcio nelle arterie può offrire ai pazienti  tempo prezioso per apportare modifiche al proprio stile di vita e ridurre il rischio.

I ricercatori hanno valutato il rischio cardiovascolare di 6.778 ambosessi di età compresa tra i 45 e gli 84 anni che facevano parte del Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA). Tutti i partecipanti non avevano avuto storia di malattia coronarica prima di iscriversi al MESA.
Le analisi dei dati e degli esami ha permesso ai ricercatori di stabilire che quasi la metà dei partecipanti presentava accumuli di calcio nelle arterie fin dall’inizio dello studio. La maggior parte di questi soggetti ha poi continuato ad accumulare il calcio durante il periodo di studio: i livelli sono stati misurati circa 2,5 anni dopo gli esami iniziali eseguiti per mezzo di Tomografia Computerizzata (TC).

La revisione finale dei dati ha mostrato che coloro che presentavano un accumulo di calcio in 330 o più unità avevano un aumento del rischio di malattia coronarica o evento cardiaco di 6 volte maggiore, rispetto a coloro i cui livelli di calcio erano nella norma o più bassi. Il rischio, infine, permaneva indipendentemente da altri fattori di rischio.

«Sapevamo che il calcio dell’arteria coronaria può essere correlato alla malattia di cuore – spiega il dottor Matthew Budoff, autore principale dello studio – ma questo studio mostra che la progressione dell’accumulo del calcio nelle arterie può essere un fattore significativo nel valutare il rischio che un paziente possa essere vittima di un infarto in futuro».

«Conducendo scansioni seriali con la TC – aggiunge Budoff – potremmo essere in grado di identificare le persone ad alto rischio di un attacco di cuore e di intervenire per evitare questi attacchi attraverso nuove terapie, cambiamenti dello stile di vita e altre modifiche. Ulteriori studi sono necessari per determinare se scansioni TC più frequenti possano essere un approccio conveniente per ridurre le malattie cardiache e coronariche: la causa numero uno di morte per uomini e donne negli Stati Uniti».