sabato 23 marzo 2013

Ghiaccio nei fast-food più sporco che l’acqua del water


LM&SDP
Un ragazzino americano di soli 12 anni ha svolto un progetto scolastico per la materia di scienze in cui si evidenzia come l’acqua che compone i cubetti di ghiaccio serviti insieme alle bevande, nei fast-food, sia più sporca e piena di batteri che non l’acqua prelevata dai bagni degli stessi ristoranti.

Certo, è accaduto negli Usa, tuttavia varrebbe la pena capire se anche qui da noi il ghiaccio nasconde dei segreti.
Lo studente, per la sua ricerca scolastica, ha debitamente prelevato sia i cubetti di ghiaccio che l’acqua delle toilette di diversi ristoranti della Florida del sud, per poi portarli alla University of South Florida affinché fossero analizzati.

La sorpresa è arrivata quasi subito, dopo aver visionato i risultati di queste analisi. In molti casi, infatti, il ghiaccio è risultato positivo nei confronti dei batteri E. coli, noti anche come batteri fecali. Questo genere di agente patogeno è responsabile di numerose infezioni in tutto il mondo.
Nonostante ciò, gli esperti ridimensionano la scoperta: non c’è motivo di allarmismo, affermano. Così come non ci sono più probabilità di ammalarsi ingerendo quest’acqua, insieme al ghiaccio, che non quelle che si hanno normalmente quando si va in bagno.

La differenza di presenza di batteri tra l’acqua che compone questi cubetti di ghiaccio e quella del water è che, la prima, spesso viene contaminata dal maneggiamento umano e dalla scarsa predisposizione alla pulizia delle macchine che producono il ghiaccio; la seconda invece proviene direttamente dall’acquedotto ed è in genere sterilizzata a monte.

L’idea di condurre una ricerca scolastica di questo genere è venuta al ragazzo dopo aver letto dell’acqua contaminata che si trova sugli aerei. Scoprire che questo fenomeno è diffuso, non solo sugli aerei ma anche in altri luoghi, gli ha fatto cambiare idea sull’abitudine di masticare cubetti di ghiaccio.
A scanso di equivoci, meglio dunque bere la propria bevanda senza il ghiaccio, e pertanto meno fredda – fa anche meglio alla salute in generale e alla digestione. 

Grazie a una nuova tecnica sperimentata con successo negli Usa, si sono mossi nuovi passi verso una cura della leucemia, il temibile cancro che intacca il sangue.


LM&SDP
Ne dà notizia la rivista Science Transnational Medicine, che riporta dei buoni risultati di uno studio in cui è stata sperimentata una nuova tecnica in grado di far regredire la leucemia linfoblastica acuta.

Già sperimentata con successo su una bambina si 7 anni, si è passati ai test su un gruppo di pazienti adulti con diagnosi di leucemia linfoblastica acuta a cellule B.
La tecnica sviluppata dagli scienziati del Memorial Sloan-Kettering Cancer Centre di New York è stata chiamata “immunoterapia mirata”.
Non nasce come cura della leucemia linfoblastica acuta – una patologia spesso letale nei pazienti oltre i cinquant’anni di età – ma come metodo per provocarne la remissione e rendere i pazienti eleggibili per il trapianto di cellule staminali.

Nonostante ciò, in tre malati su cinque cui è stato somministrato questa sorta di “farmaco vivente”, si sono mostrati benefici inaspettati mostrando una remissione della malattia che, per contro, li avrebbe condannati a morte entro pochi mesi.
La tecnica consiste nel modificare geneticamente i linfociti (o globuli bianchi) prelevati, di volta in volta, dal sangue del paziente. Nel Dna dei linfociti è stato inserito un gene, noto come proteina CD19, specializzato nel riconoscere le cellule tumorali.

Quando questi linfociti sono stati reintrodotti nel sangue dei pazienti, sono riusciti a riconoscere e attaccare le cellule maligne, distruggendole. Questo processo, come detto, ha portato in alcuni casi a una remissione della malattia e in uno a una completa scomparsa.
Si tenga presente che i pazienti si erano già sottoposti a chemioterapia per trattare i loro tumori, ma la malattia era tornata e il cancro aveva sviluppato una resistenza ai farmaci.
Durante il follow-up due pazienti sono morti per via di una ricaduta e un altro è deceduto a causa di un coagulo di sangue.

«I pazienti con recidiva di leucemia linfoblastica acuta a cellule B, resistente alla chemioterapia, hanno una prognosi particolarmente sfavorevole – spiega il dottor Renier Brentjens, autore principale dello studio – Questa capacità del nostro approccio di ottenere remissioni complete in tutti questi pazienti molto malati è ciò che rende questi risultati così straordinari e questa nuova terapia così promettente».
Al momento, il trattamento è ancora in fase sperimentale. Ora dovrà essere testato su più pazienti prima di poter diventare un trattamento standard per le persone con leucemia linfoblastica acuta a cellule B, così come per altri tumori del sangue.http://www.lastampa.it/2013/03/23/scienza/benessere/medicina/verso-una-cura-della-leucemia-n7zEXUuphDIMtBk2SvHAuO/pagina.html