domenica 23 giugno 2013

Il Papa diserta il concerto: "Devo lavorare" non sono un principe

GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Forfait papale al concerto per l'Anno della fede. Invece di andare al concerto all'Aula Paolo VI, Francesco è rimasto l'intero pomeriggio a lavorare nella residenza di Santa Marta. "Questioni urgenti da trattare- assicura uno stretto collaboratore del Pontefice-.Nessun problema di salute, come testimonia il fatto che i suoi segretari e il medico personale Polisca sono in aula ad assistere al concerto". All'ultimo istante e dopo che i mass media della Santa Sede avevano annunciato la sua presenza, papa Francesco ha scelto di non partecipare questa sera al concerto in Vaticano in occasione dell'Anno  della Fede per «impegni improrogabili». Un'incombenza urgente che sembra riguardare i colloqui che Bergoglio sta effettuando in queste ore con alcuni dei nunzi apostolici in visita Oltretevere e che preludono all'imminente  riordino della diplomazia pontificia e, soprattutto, alla riforma della Segreteria di Stato e dei ministeri vaticani. Per l'intero pomeriggio Francesco non si è mosso dalla sua camera a Santa Marta. Non si sente un principe rinascimentale che ascolta musica quando deve occuparsi di cose urgenti. E ha proseguito ad assolvere ai compiti di una giornata particolrmente gravosa. Ancora una volta quindi, massima attenzione ai contenuti e pochissima alla mondanità e alla forma. L'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del dicastero per la Nuova Evangelizzazione, assicura che «per domani si darà seguito a tutti gli eventi in calendario per l'anno della fede».

L'assenza di Francesco al concerto viene spiegata con il fatto che il nuovo Papa non ama presenziare ad un certo tipo di occasioni e appuntamenti, come i concerti, che non gli sono congeniali. Il concerto, nell'aula Paolo VI in Vaticano, è organizzato dal Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione ed ha in programma musiche di Beethoven, eseguite dall'Orchestra sinfonica nazionale della Rai (diretta dal Maestro Juraj Valcuha) e dal coro dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia (diretto dal Maestro Ciro Visco). In particolare la sinfonia numero  9 in D minore opera125 di Ludwig van Beethoven. Era previsto che al termine dell'esecuzione, il Papa si rivolgesse ai partecipanti con un discorso. Ieri si è svolto il primo incontro tra il Papa che viene "dalla fine del mondo" e i nunzi che, ha ricordato nel suo saluto il segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, sono talora definiti «gli occhi e le orecchie» del Pontefice nel mondo. L'udienza a 108 nunzi in servizio e 40 emeriti, nella Sala Clementina, è un appuntamento in calendario per l'Anno della fede, ereditato da papa Francesco, che però ne approfitta per dare la sua impronta all'incontro: dona a tutti una croce pettorale d'argento, per cui è presumibile che d'ora in poi tutti i rappresentanti pontifici nel mondo non indosseranno più quella d'oro, allineandosi  allo standard di sobrietà del papa latinoamericano. Ieri Bergoglio ha fatto una introduzione a braccio al discorso scritto, per spiegare che le cose che dice le dice «con il cuore», che ritiene «essenziale» il «rapporto personale» tra loro e il «vescovo di Roma»: «davvero c'è la Segreteria di Stato che ci aiuta, ma il rapporto personale è importante e dobbiamo farlo, da ambedue le parti».

Parla del ruolo di «mediatori», non «intermediari», con le chiese locali. Tra i "semplici pensieri detti con il cuore", la formula con cui introduce il discorso scritto, papa Bergoglio ha messo una serie di considerazioni sul peso di una «vita da nomadi», «sempre con la valigia in mano» che chiede di «spogliarsi di amicizie, cose, legami» e chiede la capacità di saper «guardare lontano». Introduce poi il tema a lui caro, mediato da Henry De Lubac, dei rischi della «mondanità spirituale», di una "borghesia dello spirito e della vita che spinge a ricercare una vita comoda e tranquilla''. Quindi «cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi pastori al ridicolo: potremo forse ricevere qualche applauso, ma quelli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle». Francesco ieri ha raccomandato attenzione in uno dei loro principali compiti: «la collaborazione alle provviste episcopali», cioè la preparazione dei dossier informativi sui candidati all'episcopato, su cui i papi scelgono i futuri vescovi. Il Papa ha delineato la sua idea di vescovo-pastore, capace di stare a seconda delle occasioni davanti, in mezzo o dietro al popolo, e la sua speranza di vescovi  «miti, pazienti, misericordiosi», che amino la povertà sia materiale che spirituale. Come ha detto anche nella sua meditazione alla assemblea generale della Cei, lo scorso maggio, il vescovo deve saper guidare, tenere unito il popolo, e anche seguire il popolo «perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto per trovare la strada». Francesco non vuole vescovi «ambiziosi», che cercano di diventarlo a tutti i costi: su questo, ha detto a braccio, suscitando una risata nell'uditorio, «farò un commento quando non ci sarà il registratore». «Non scegliamo vescovi che hanno la psicologia da principi», ha sintetizzato il Papa.