domenica 10 novembre 2013

Tre tazze di caffè al giorno per ridurre del 50% il rischio di cancro al fegato

Bere caffè può essere salutare per diversi motivi, e un nuovo studio suggerisce che può anche ridurre il rischio di sviluppare un cancro del fegato nella misura del 40 per cento con una tazzina e fino a oltre il 50 per cento se si bevono fino a tre tazze al giorno
LM&SDP
Buone nuove per gli amanti della tazzina.
Una delle passioni degli italiani, il caffè, pare possa tra i tanti vantaggi perfino ridurre il rischio di carcinoma epatocellulare (HCC), il più comune tra i tipi di cancro del fegato.

Lo studio revisionale, pubblicato sulla rivista Clinical Gastroenterology and Hepatology, è stato condotto dai ricercatori italiani del Dipartimento di Epidemiologia, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, coordinati dal dottor Carlo La Vecchia del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano.
La Vecchia e colleghi hanno trovato che l’effetto positivo del caffè sul rischio tumore al fegato potrebbe essere dovuto all’azione preventiva nei confronti del diabete da parte della bevanda – così come comprovato da precedenti studi. Il diabete, infatti, è un noto fattore di rischio per l’HCC.
Altra ipotesi è che, sempre il caffè, promuova un’azione benefica sugli enzimi epatici e nel caso di cirrosi.

I ricercatori del Mario Negri hanno condotto la loro meta-analisi esaminando una serie di articoli pubblicati dal 1996 e fino al settembre 2012. Oltre a ciò, si sono analizzati i risultati di 16 studi di alta qualità per un totale di 3.153 casi riportati.
Secondo gli autori, i risultati finali non mostrano con chiarezza se il caffè abbia un ruolo ulteriore nella prevenzione del cancro al fegato. In ogni caso, questo ruolo resterebbe limitato rispetto a quanto possibile attenendosi alle attuali indicazioni circa la prevenzione. Per cui, se seguo uno stile di vita così scorretto, da far aumentare il rischio cancro, non posso certo pretendere di mettere tutto a tacere semplicemente bevendo caffè. Questo, al massimo, può essere un aiuto in più. Un buon aiuto, peraltro.

NUOVE SPERANZE DI CURA PER LE MALATTIE DEL CERVELLO Una terapia laser per Alzheimer e Parkinson

Scienziati trovano in un trattamento foto-acustico con il laser una potenziale cura per le malattie neurodegenerative Alzheimer, Parkinson e Creutzfeldt-Jakob, noto anche come morbo della mucca pazza
Un team di scienziati provenienti dalla Chalmers University of Technology in Svezia e dalla Polish Wroclaw University of Technology in Polonia hanno scoperto quella che potrebbe rivelarsi la cura per le malattie del cervello come l’Alzheimer, il Parkinson e la malattia di Creutzfeldt-Jakob, nota anche come morbo della mucca pazza. Per tutte queste patologie neurodegenerative al momento non esiste cura, ma soltanto trattamenti per limitare i sintomi.

Utilizzando una tecnica con il laser a multi-fotone i ricercatori hanno scoperto che è possibile distinguere le aggregazioni proteiche dannose, note per essere dei biomarcatori e possibile causa di questo genere di malattie, da quelle che invece sono indice di salute del corpo.
Lo studio, pubblicato su Nature Photonics, si presenta come rivoluzionario in quanto è il primo a utilizzare la luce nel trattamento di queste patologie, fanno notare gli autori.

«Questo è un approccio totalmente nuovo – sottolinea il dottor Piotr Hanczyc, coautore dello studio – e crediamo che questo potrebbe diventare un importante passo avanti nella ricerca nelle malattie come l’Alzheimer, il Parkinson e la malattia di Creutzfeldt-Jakob. Abbiamo trovato un modo totalmente nuovo di scoprire queste strutture usando solo la luce laser».

Il concetto è che se gli aggregati proteici vengono rimossi, la malattia è in linea di principio curata, ritengono gli scienziati. Il problema fino a oggi è tuttavia stato proprio quello di riuscire a rilevare e infine rimuovere gli aggregati. A questa lacuna avrebbe dunque pensato la terapia foto-acustica – che peraltro è già utilizzata nelle tomografie – che può essere utilizzata per rimuovere le proteine dannose e malfunzionanti. In questo modo, il cervello non sarebbe più danneggiato e sotto l’influenza di queste proteine.
Ora non resta che attendere gli ulteriori sviluppi della ricerca per sapere quale sia l’effetto reale sui pazienti affetti dall’Alzheimer, il Parkinson e la Creutzfeldt-Jakob
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Dall’incenso una possibile cura per il cancro al seno

Ricercatori trovano in una particolare varietà di incenso, quello di Oman, un insieme di sostanze che potrebbero essere una possibile cura contro il cancro del seno
LM&SDP
Si chiama AKBA, ed è un acronimo che riunisce i nomi dei diversi acidi che compongono l’incenso dell’Oman, un particolare tipo di resina che si produce in questo Paese e che pare abbia le potenzialità per divenire un trattamento contro il carcinoma mammario, o cancro del seno.

Sono stati i ricercatori dell’Università di Nizwa (Oman) ad aver isolato e fatto aumentare la percentuale di AKBA (acido beta-boswellico, acido cheto-beta-boswellico e acetil-acido cheto-beta-boswellico) contenuta nell’incenso dell’Oman.
Il dottor Ahmad Sulaiman Al Harrasi e colleghi dell’Oman’s Medicinal Plants and Marine Natural Products University, hanno condotto uno studio in cui si è sperimentato quali effetti aveva l’AKBA sulle cellule tumorali del seno, così come riportato da Gulf News.

L’AKBA è stato precedentemente trovato essere attivo nell’indurre l’apoptosi, ovvero la morte programmata delle cellule tumorali, in particolare nei tumori cerebrali, il cancro del colon e nella leucemia. Quello che ancora non era stato provato era l’effetto sulle cellule del cancro del seno.
Sebbene a seguito dei risultati positivi ottenuti molti media avessero diffuso la notizia che era stata trovata una vera e propria cura per il cancro al seno, il prof. Al Harrasi ha negato che così fosse – così come ha negato che il composto attivo fosse ricavato dall’olio. Sì, il composto ha dimostrato di avere effetti significativi sulle cellule tumorali, tuttavia sarà necessaria ulteriore ricerca prima di dichiarare di avere effettivamente trovato una cura. Le speranze e le premesse ci sono, ma bisogna attendere ulteriori sviluppi.
Non resta dunque che attendere buone notizie.