venerdì 18 gennaio 2013

Le dieci domande del Redditometro Dai lavoratori dipendenti ai pensionati, ecco le regole.


 Era prevedibile. Contro il redditometro delle polemiche è arrivato il primo ricorso alla giustizia amministrativa. L'associazione dei consumatori Adusbef ha dato mandato ai propri legali di impugnare «in tutte le opportune sedi», dalle Commissioni tributarie al Tar del Lazio, il decreto ministeriale sul redditometro «affetto da rilevanti vizi di illegittimità, anche di ordine costituzionale, che invece di contribuire alla lotta all'evasione e all'elusione fiscale, sta ottenendo l'effetto di un ulteriore risentimento dei contribuenti onesti, spesso perseguitati, verso il Fisco e un vero e proprio Stato di polizia fiscale».
Ma qual è l'addebito? Il nuovo redditometro, secondo l'Adusbef, è «in palese violazione degli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione e dello Statuto dei diritti del contribuente, poiché pone a carico del cittadino contribuente l'onere della prova, che in qualsiasi civiltà giuridica dovrebbe essere posto in capo all'amministrazione pubblica, la quale dispone di strumenti invasivi e di accesso ai conti correnti bancari e postali, non c'entra nulla con la lotta all'evasione, assomigliando a uno strumento coercitivo teso a terrorizzare i contribuenti onesti piuttosto che gli evasori».
Intanto l'Agenzia delle entrate continua a diffondere indicazioni tranquillizzanti circa l'applicazione dello strumento di accertamento sintetico. In particolare, a proposito dei consumi correnti, il vicedirettore delle Entrate, Marco Di Capua, ha spiegato che saranno misurati con le medie Istat ma se un contribuente non si riconosce nel dato, potrà fornire anche argomentazioni non documentate. «Per esempio - ha detto Di Capua - se una persona non spende per alimentari perché va a mangiare tutti i giorni dalla madre che abita nello stesso pianerottolo potrà portare questa motivazione».
I parametri
Undici tipologie familiari per misurare i redditi medi
Il nuovo redditometro serve al Fisco per identificare eventuali redditi non dichiarati. Il ragionamento che lo guida è: se un contribuente spende una data cifra dovrà avere un reddito adeguato. Saranno proprio le grosse incongruenze a finire nel mirino del Fisco. Lo strumento riguarda qualsiasi contribuente singolo, calato però all’interno di un determinato contesto familiare (11 tipologie) e inquadrato in una determinata area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole).
Le spese
Anagrafe tributaria e cento voci da controllare
Il Fisco cercherà di capire se quello che spendiamo è coerente con il reddito che dichiariamo. Ecco perché ha scelto cento voci da mettere sotto controllo: si tratta di spese, risparmi e investimenti. A ciascuna di queste voci il Fisco attribuirà un valore: in alcuni casi lo assumerà dalle banche dati che compongono l’Anagrafe tributaria (dati certi), per alcune altre, per le quali non ha dati incontrovertibili, assumerà il valore medio delle tabelle dell’Istat, scegliendo quello relativo alla nostra tipologia familiare e territoriale.
La spia
Lo scostamento tollerato? Niente verifiche sotto il 20%
Ma come scatta il meccanismo del nuovo redditometro? Ogni anno il Fisco sceglie le liste dei contribuenti da mettere sotto il proprio controllo e lo fa partendo dalle situazioni in cui ha rilevato palesi incongruenze: ad esempio il pensionato che improvvisamente fa una vacanza di lusso. Al contribuente così individuato verrà applicato lo schema delle 100 voci del redditometro in modo da comporre, attraverso dati certi e dati presunti (le medie Istat), il valore del suo reddito complessivo presunto. Lo scostamento tollerato? Fino al 20%.
Il calcolo
Che tipo di incongruenza comporta l’accertamento
Come abbiamo detto, se tra il reddito complessivo presunto del contribuente e quello che emerge dalla sua dichiarazione dei redditi del periodo considerato, c’è uno scostamento superiore al 20%, il Fisco chiederà al contribuente le necessarie spiegazioni. Ma attenzione: se lo scostamento tra i due dati è da 12 mila euro in giù, il controllo non verrà operato. La franchigia di mille euro al mese serve a correggere le approssimazioni dovute all’applicazione delle medie Istat.
La franchigia
Come si calcola il «bonus» di mille euro al mese
Facciamo un esempio di uno scostamento superiore al 20%. Il contribuente ha dichiarato un reddito di 82 mila euro e il Fisco ne ha accertato uno da 100 mila euro. Ora, il 20% di 82 mila euro è pari a 16.400 euro. Mentre lo scostamento tra 100 mila e 82 mila euro è pari a 18 mila euro. Dunque in questo caso lo scostamento (18 mila euro) è superiore al 20% (16.400 euro) e supera anche la franchigia di 12 mila euro. Il contribuente in questione sarà dunque invitato a spiegare l’incongruenza.
Gli scontrini
Non bisogna conservare tutte le ricevute dal 2009
Non è necessario conservare tutti gli scontrini di ogni spesa fatta. Prima di tutto c’è una serie di spese delle quali il Fisco ha traccia: le utenze domestiche, i beni acquistati per una cifra superiore ai 3.600 euro, i premi assicurativi, ecc. Meglio conservare documentazione di acquisti importanti, come quelli dei beni durevoli, tipo gli elettrodomestici. O le ricevute di spese inconsuete, come vacanze e viaggi. Il Fisco non farà accertamenti su scostamenti dalle medie Istat.
Il bonus
Dividendi e interessi, la mappa delle esenzioni
Esistono redditi che non risultano in dichiarazione che possono consentire al contribuente di spiegare la disponibilità di un maggior reddito rispetto a quello dichiarato. Tra questi, i redditi legalmente esclusi dalla base imponibile poiché tassati in percentuale inferiore al reale realizzo, come i dividendi, o quelli tassati in misura forfettaria, come i redditi fondiari. Oppure le borse di studio, le indennità di accompagnamento, le pensioni sociali.
L’accusa
Chi non dimostra le spese pagherà il 30% della somma
È bene chiarire che il Fisco chiederà al contribuente la spiegazione della maggiore incongruenza da cui è partito l’accertamento. Dunque, rispetto all’esempio fatto; il pensionato dovrà dimostrare come ha fatto a fare la vacanza di lusso. Se ci riuscirà nel contraddittorio cui sarà chiamato, la questione è chiusa. In caso contrario partirà l’accertamento vero e proprio e il contribuente dovrà versare il 30% della maggior somma dovuta al Fisco.
La difesa
Ecco i tre modi consentiti per dare spiegazioni al Fisco
Il contribuente potrà difendersi sostanzialmente in tre modi: 1) dimostrando che il Fisco ha ricostruito in maniera scorretta la spesa: un errore materiale da dimostrare documenti alla mano; 2) che il pagamento è stato fatto da terzi (tramite bonifico, assegno o altro) oppure è una donazione (serve la prova) o che stato fatto tramite mutuo; 3) che l’acquisto è frutto di risparmi su più anni (servono gli estratti conti da cui emerge tale dato).
Il rischio
Gli 007 verificheranno 35 mila contribuenti
L’Agenzia delle entrate ha chiarito che non interpreta il redditometro come uno strumento di accertamento di massa. Quest’anno è previsto che gli accertamenti sintetici siano 35 mila su una platea di contribuenti pari a 40-50 milioni. I redditi su cui potremo, da marzo, essere chiamati a dare spiegazioni sono quelli dal 2009 in poi. Questo perché il decreto che ha dato vita al redditometro fu emenato nel 2010, prima della presentazione delle dichiarazioni.

Ora la tisana si fa col caffè: è antiossidante e antinfiammatoria


L’idea che il caffè debba per forza essere preparato con la macchina per espresso, o la caffettiera, potrebbe cambiare ora che scienziati hanno annunciato che con le foglie della pianta di caffè si può preparare una tisana piacevole e benefica, grazie al buon contenuto di antiossidanti e antinfiammatori
Quando si parla di caffè, la prima cosa che viene in mente – specie tra noi italiani – è una bella tazzina fumante e ricca di aroma tipica del caffè espresso. I più tradizionalisti, in casa, non rinunciano poi al caffè preparato con la caffettiera – moka o napoletana che sia.
E che dire invece se qualcuno citasse la tisana, di caffè? Di certo suonerebbe un po’ strano a molti, ma per gli scienziati che hanno analizzato ben 23 specie di piante di caffè, no.

Le foglie di tutte le specie analizzate hanno mostrato diverse proprietà: tra cui proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Queste virtù benefiche possono tranquillamente essere trasferite all’acqua che si utilizza nella preparazione di una tisana.
Oltre al bello, c’è anche il buono, perché la tisana così preparata pare sia meno amara del caffè classico. E anche meno forte.

Delle 23 specie di piante studiate, ce ne sono state tuttavia 7 che hanno brillato di più per contenuto di sostanze antiossidanti e antinfiammatorie. Queste piante hanno mostrato di contenere alti livelli di una sostanza chiamata Mangiferina che, come suggerisce il nome, si trova naturalmente nel frutto del Mango.
Questa sostanza, si ritiene possegga significativi effetti antinfiammatori; sia protettiva nei confronti dei neuroni cerebrali, riduca il colesterolo e favorisca la prevenzione del diabete.

Viste le premesse, chi risentirà dunque del colpo inferto dalla nuova tisana, o “tè di caffè”? – se ci passate il giro di parole. Forse il tè tradizionale o il corrispettivo caffè. O forse nessuno dei due, perché in fondo la tisana di caffè è un qualcosa in più che si va ad aggiungere alle altre bevande che di per sé possono portare diversi vantaggi per la salute. Un nuovo piacere, salutare, si aggiunge quindi alla già grande scelta che offre il mercato degli infusi e che si pone come un’alternativa gustosa e benefica.
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Il corpo parla di te. Anche se non vuoi.............L’espressione della faccia da sola può essere ambigua e mascherare i veri sentimenti ed emozioni; al contrario il linguaggio del corpo svela davvero chi siamo, cosa stiamo provando o pensiamo. Lo studio che ribalta la convinzione che nel viso si può leggere tutto di una persona

Siamo a lungo stati convinti che studiando o osservando con attenzione il viso di una persona potessimo leggervi cosa stesse provando; quali fossero le sue emozioni o pensieri.
In molti hanno infatti sempre consigliato di fissare lo sguardo sulle espressioni facciali per scrutare nell’animo della persona. Ma, oggi, un nuovo studio ribalta questa convinzione, contestando quello che è da sempre stato ritenuto un predominio delle espressioni del volto quale indicatore di come uno si sente.

Sono stati i ricercatori dell’Università di Princeton, l’Università Ebraica di Gerusalemme e la New York University ad aver condotto lo studio in questione, e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivistaScience, che dimostra come la sola osservazione delle espressioni facciali, se non accompagnate da quanto accade nel resto del corpo, non forniscono abbastanza (o le necessarie) informazioni per comprendere quali siano i pensieri e le emozioni che la persona sta provando.
Per dimostrarlo, gli autori dello studio hanno coinvolto un gruppo 45 di ambosessi a cui è stato chiesto di osservare delle fotografie che ritraevano delle persone e ricavare da queste immagini le informazioni necessarie per stabilire se stavano vivendo sentimenti come di sconfitta, vittoria, dolore, piacere. I partecipanti dovevano dedurlo osservando o soltanto il viso, o soltanto il corpo o, ancora, entrambi.

I test condotti in quattro distinte fasi hanno permesso di scoprire che per i volontari era più facile indovinare quali sentimenti o emozioni stavano vivendo i soggetti fotografati quando potevano osservare il linguaggio del corpo, e non soltanto l’espressione del viso.
Il professore di psicologia e coautore dello studio, Alexander Todorov, ha dichiarato che i risultati dello studio sfidano la clinica – e convenzionale – presunzione che il volto comunica meglio le emozioni e i sentimenti.
Questi risultati sono stati confermati nonostante i partecipanti, quando è stato chiesto loro, fossero convinti che si potevano leggere meglio le emozioni osservando le espressioni della faccia: un equivoco che i ricercatori hanno definito un “effetto illusorio del viso”.

«Abbiamo scoperto che le emozioni estremamente positive ed estremamente negative sono al massimo indistinte [sul volto] – spiega Todorov – Le persone non possono capire la differenza, anche se ritengono di poterlo fare. Soggettivamente le persone pensano di poter cogliere la differenza, ma oggettivamente i giudizi e la corretta determinazione sono del tutto casuali».
Quello che suggerisce lo studio, sottolinea Todorov, è che la maggioranza delle persone non è a conoscenza che il linguaggio del corpo fornisce molte più informazioni sui sentimenti e le emozioni provate.
Dovendo quindi cercare di comprendere cosa sta pensando o provando una persona, non limitiamoci a osservarne soltanto il viso, ma teniamo conto anche del resto del corpo: per esempio, una persona che tiene le braccia (e magari anche le gambe) incrociate, secondo gli esperti, denuncia un atteggiamento di chiusura, di difesa. Braccia aperte possono significare l’esatto opposto. Tormentarsi le mani può indicare un tormento interiore, nervosismo o ansia… e così via.
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