sabato 8 giugno 2013

Arriva il leccalecca al gusto latte… di mamma

La fantasia non ha limiti, a quanto pare.
E quella di un’azienda statunitense, tale Lollyphile Company, è davvero sorprendente: avrebbe infatti immesso sul mercato un nuovo leccalecca al gusto di latte materno.

Forse qualcuno ne sentiva la mancanza, o forse no, fatto sta che il nuovo leccalecca non sarebbe necessariamente destinato a un pubblico di bambini – come verrebbe naturale pensare – ma soprattutto ai consumatori adulti – forse nostalgici o forse perché non hanno avuto il piacere di gustare il latte di mamma da piccoli.

In realtà, così come dichiarato dai produttori nel comunicato stampa, l’idea di produrre un leccalecca al sapore di latte materno sarebbe venuta dalla constatazione che il latte è in grado di calmare anche il bambino più rabbioso, trasformandolo in un docile cucciolo. Così hanno iniziato la ricerca del “sapore perfetto”.

Dall’azienda, per buona pace dei vegani, fanno sapere che in realtà di latte dell’“animale” uomo nel leccalecca non ce n’è, ma che c’è solo il sapore di questo. Un sapore «celestiale», come l’hanno definito che è derivato dopo che i pasticceri della Lollyphile hanno analizzato il vero latte materno donato da alcune mamme.
Per chi volesse provare e giudicare, il leccalecca è acquistabile direttamente sul sito, a questo indirizzo. http://www.lollyphile.com/collections/limited-edition/products/breast-milk-lollipops
Nel caso, fateci sapere com’è andata.
http://www.lastampa.it/2013/06/07/scienza/benessere/lifestyle/arriva-il-leccalecca-al-gusto-latte-di-mamma-dUySC8d8es2JtpzA21lyZM/pagina.html



sabato 1 giugno 2013

Intolleranza al lattosio: cos’è, come affrontarla


LM&SDP
Si fa presto a dire “intolleranza al lattosio”, ma siamo sicuri si tratti proprio di questo disturbo quando avvertiamo certi sintomi?
Partendo dal presupposto che non si tratti soltanto di una somatizzazione mentale – come suggerito da uno studio di qualche tempo fa – analizziamo insieme agli esperti quali sono i sintomi reali e le semplici strategie da adottare in caso di accertata intolleranza.

L’intolleranza al lattosio è in sostanza l’incapacità di digerire lo zucchero presente nel latte e in altri prodotti caseari o derivati del latte. Quasi la maggioranza degli zuccheri presenti nel latte (il 98%) infatti è costituita dal lattosio.
Il problema si manifesta quando vi sia nell’organismo una carenza dell’enzima Lattasi. Questi è responsabile del processo di metabolizzazione del lattosio nell’intestino tenue, per cui se manca si hanno dei problemi. Il problema, secondo gli esperti, si manifesta subito dopo lo svezzamento, tappa in cui circa il 75 per cento delle persone perde l’enzima lattasi.

Come in parte riportato da uno studio pubblicato sul Scandinavian Journal of Gastroenterology, questo tipo di intolleranza non è equamente distribuita tra la popolazione mondiale: se è un problema per soltanto il 3 per cento circa degli scandinavi, si arriva a quasi al 100 per cento tra le popolazioni asiatiche o i nativi americani. In Italia l’incidenza varia dal 20 al 50 per cento, a seconda delle zone.

Da non confondere con l’allergia, dove vi è un problema con le proteine del latte, l’intolleranza si manifesta con alcuni sintomi tipici – anche se molte persone che presentano una carenza di lattasi sono asintomatiche.
Primo tra tutti i sintomi è la diarrea che colpisce fulminea chi abbia problemi di lattasi. Questo sintomo si manifesta per via dell’azione osmotica promossa dal lattosio non digerito che richiama molta acqua che non viene assorbita e, quindi, poi espulsa con le feci.
Altri sintomi comuni sono i crampi addominali, il gonfiore addominale, la flatulenza e la nausea.
I sintomi possono essere più o meno gravi a seconda della misura in cui il problema lattasi interessa un individuo.

Ma come fare per capire se si è intolleranti al lattosio?
Gli esperti della Mayo Clinic, per esempio, suggeriscono di tenere anzitutto d’occhio i sintomi  – come quelli succitati – che si possono manifestare dopo il consumo di latte o prodotti derivati.
In questo caso, verificare se si tratta di un problema legato a questo tipo di prodotti alimentari è abbastanza semplice: basta eliminare dalla dieta questi cibi e osservare se i sintomi si ripresentano.
In assenza di sintomi gravi, la maggior parte dei pazienti non ha bisogno di rivolgersi a uno specialista, o sottoporsi a esami diagnostici.
Altra questione da prendere in considerazione è la possibilità che i sintomi dell’intolleranza si sovrappongano a quelli, per esempio, della sindrome del colon irritabile (o colite) o la malattia di Crohn. In questi casi, per fugare eventuali dubbi, si può ricorrere a un test del respiro all’idrogeno.

Una volta che si è accertato di essere davvero intolleranti al lattosio, si possono attuare tutte le strategie di controllo del problema.
Per esempio, secondo gli esperti della Mayo Clinic, si possono assumere prima dei pasti degli integratori di lattasi: in questo modo si possono ridurre, se non addirittura eliminare, i sintomi associati all’intolleranza. Questo è un rimedio per tutti coloro che non vorrebbero rinunciare al latte e i suoi derivati – anche per chi intende assorbire il Calcio con questi alimenti.
Se è quest’ultimo il problema, è bene ricordare che il Calcio non è contenuto soltanto nel latte e derivati, ma anche in cibi come broccoli, cavolo, salmone, arance, fagioli, rabarbaro, spinaci, sostituti vegetali del latte come quello di soia o di riso e tutti i prodotti arricchiti di Calcio come pane e succhi di frutta.
Dalla Mayo Clinic ricordano tuttavia che gli integratori di lattasi non funzionano con tutte le persone.

Come suggerito da diversi studi, un’altra strategia per combattere l’intolleranza al lattosio è, partendo da pochissime quantità, quella di introdurre poco per volta il latte nella propria alimentazione. Ricerche condotte su pazienti con questo problema hanno mostrato che in molti casi si tornava a tollerare il lattosio – basta non avere troppa fretta.

Se il problema è anche l’assorbimento di vitamina D, altri cibi che la contengono sono le uova, il fegato e lo yogurt – che è noto possono assumere anche gli intolleranti al lattosio, dato che questo è già stato degradato dai batteri presenti nell’alimento. Infine, non dimenticare che l’esposizione ai raggi solari permette di sintetizzare questa preziosa vitamina.

Altre strategie suggerite dalla Mayo Clinic sono l’assumere – in piccole dosi – il latte o i prodotti derivati insieme ad altri cibi: in questo modo è più facile che siano digeriti. Poi, si possono “saggiare” diversi tipi di prodotti caseari, dato che il contenuto di lattosio varia da tipo a tipo – per cui non è detto che tutti facciano male. Infine, tenere presente che non tutti i prodotti di questo genere contengono lattosio – ne esistono infatti sul mercato creati apposta a ridotto contenuto o anche in totale assenza.

Ultimo consiglio è quello di leggere sempre bene le etichette dei prodotti alimentari che ci si accinge a comprare perché spesso non solo si utilizza il latte, ma il lattosio può essere nascosto nei diversi ingredienti.

mercoledì 29 maggio 2013

Patate: costano poco, valgono tanto


Secondo i nutrizionisti le patate possono essere uno dei migliori “supercibi”. A fronte di un prezzo relativamente basso, possono offrire molto per la salute grazie al loro buon contenuto di Sali minerali, vitamine e fibra
LM&SDP
In tempi di crisi anche la dieta può essere messa a rischio, e di conseguenza la propria salute.
Cercando di risparmiare denaro a tutti i costi si può essere tentati di risparmiare sulla qualità degli alimenti che si portano in tavola. Ma, per fortuna, basso costo non sempre significa scarsa qualità: è il caso delle patate.

Secondo i nutrizionisti e gli esperti dell’Università di Washington (WU), le verdure dovrebbero avere un posto di riguardo sulla tavola, e non è detto che queste debbano per forza essere sempre le stesse, ma soprattutto le più blasonate.
Le patate, per esempio, sono un buon compromesso tra risparmio e offerta – dove per “offerta” s’intende cosa possono offrire in termini di nutrizione e salute.

Il dottor Adam Drewnowski e colleghi della WU, hanno stilato quello che secondo loro era il profilo ideale di una serie di 98 tipi di verdure, analizzando la combinazione di profilo nutrizionale con il prezzo d’acquisto. Dopo questa analisi è stato creato un “indice di accessibilità” in base alle sostanze nutritive in esse contenute e il costo unitario.
Le quasi cento verdure sono poi state suddivise anche in cinque sottogruppi in base a al colore (verde scuro, rosso, arancione…) e in base al tipo (legumi, farinacei e altro).

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista PLoS ONE e suggeriscono che quanto a densità di nutrienti, vincono le verdure verde scuro. Queste, su tutte, contengono il maggior numero di sostanze benefiche e possono competere, in base a ciò, con tutte le altre.
Ma le patate, hanno le loro frecce all’arco: offrono una delle più basse opzioni di costo per quattro sostanze nutrienti chiave, tra cui potassio, fibre, vitamina C e magnesio. Anche i fagioli sono risultati una fonte a basso costo di potassio e fibre – tuttavia non quanto le patate.

«La possibilità di identificare verdure ricche di nutrienti ma convenienti è importante per le famiglie, concentrate sul risparmiare – spiega il dottor Drewnowski – […] E, quando si tratta di alimentazione a prezzi accessibili, è difficile battere le patate».

Lo studio, che è stato finanziato dalla US Potato Board, si aggiunge alla crescente banca dati della Scienza della Nutrizione che supporta l’utilizzo della patate in una dieta salutare.
Le patate sono poco caloriche, per esempio: una patata di medie dimensioni contiene soltanto 110 calorie per porzione. Non contengono sodio (importante per non far alzare la pressione arteriosa) e colesterolo. Quanto a potassio, di solito siamo portati a prendere in considerazione le banane, tuttavia se una banana contiene circa 450 grammi di potassio, la patata ne contiene 620 grammi.
Infine, le patate forniscono circa la metà della dose giornaliera raccomandata di vitamina C.
Ecco quindi tutta una serie di motivi in più per non dimenticare le patate la prossima volta che andremo a far spesa.

sabato 25 maggio 2013

Pancia: i suggerimenti per la prova bikini


Secondo un nuovo studio, eliminare il grasso addominale è semplice e veloce. Basta seguire alcuni consigli, insieme a una dieta sana e un poco di esercizio quotidiano
LM&SDP
Tutti sappiamo che dobbiamo fare attenzione all’eccesso di calorie se vogliamo conservare un fisico asciutto e una pancia piatta. Quello che però non sappiamo è che alcuni tipi di grassi (sì, avete capito bene: proprio i grassi) possono aiutarci a smaltire la tanto temuta “pancetta” – per lo meno questo è quanto riporta l’Huffington Post.

Di cosa stiamo parlando? Ma dei grassi “buoni”, ovviamente. Come, per esempio, gli acidi grassi monoinsaturi (MUFA) che, se assunti in tempo o, meglio ancora, come preventivo possono evitare l’insorgere dei salsicciotti addominali.
Secondo quanto riportato recentemente sulla rivista Diabetes Care le persone che assumevano quotidianamente una buona quantità di acidi grassi monoinsaturi (25 per cento) non erano soggette ad aumento del grasso viscerale. Al contrario, quelli tra cui prevaleva nella dieta un maggior numero di carboidrati, rispetto ai grassi (seppur monoinsaturi), mostravano un aumento evidente del girovita.

Tra gli alimenti più ricchi di questi preziosi elementi – alleati dunque della linea – ricordiamo l’olio di oliva, di nocciola, di fegato di merluzzo, di semi vari e di avocado. Ottime fonti sono anche mandorle, nocciole, noci pecan, semi di girasole, pinoli eccetera. Questi ultimi, contengono anche buoni quantitativi di acidi grassi polinsaturi. Otteniamo, in questo modo, un prodotto completo che, tra le altre cose, svolge anche un ruolo fondamentale nel fornire un senso di sazietà.
Se si vuole perdere peso, quindi, si potrebbero fare alcuni spuntini con i pinoli una mezz’ora prima dei pasti. In questa maniera ci si sentirà già un po’ sazi e si mangerà molto meno durante i pasti principali.

Un altro fattore cui bisogna porre molta attenzione è la gestione dello stress. Più siamo suscettibili ai cambiamenti della vita e ai problemi di varia natura, più i livelli di cortisolo – l’ormone dello stress – aumentano e con esso anche l’adipe addominale. Allo steso modo, gli alimenti che hanno un alto indice glicemico (IG) causano picchi elevati di zuccheri nel sangue e, di conseguenza, un aumento del cortisolo. Ecco che diviene importante scegliere cibi con IG medio-basso per evitare ripercussioni sia sulla salute che sulla linea. Tra questi ricordiamo i legumi come ceci, fagioli e lenticchie, oppure cereali come il riso bianco. Ottime anche le patate cucinate in tanti modi diversi.

Altro elemento importante è il tè verde. Riferisce dei suoi benefici uno studio dello scorso anno apparso sul Journal of Functional Foods che aveva dimostrato come le persone che bevevano quotidianamente del tè verde arricchito con oltre 600 milligrammi di catechine, in soli tre mesi erano riusciti a ridurre il grasso addominale di ben sedici volte. I risultati erano evidenti bevendo da un minimo di due tazze a un massimo di quattro al giorno.
Nel valutare le motivazioni dell’eccesso di grasso addominale bisogna anche tenere in considerazione l’eventuale livello di Calcio nel nostro organismo. Se si assumono i latticini, per esempio, viene prodotto un ormone che comunica al corpo di immagazzinare il grasso viscerale.
Questo accade solo quando i livelli di Calcio sono insufficienti. Infatti il Calcio riduce vistosamente l’attività di questo ormone. Per aumentare la quantità di Calcio nel nostro organismo si consiglia di assumere alimenti che lo contengono in buona quantità. Cibi che permettono di assorbire meglio questo minerale.

Tra gli esercizi più benefici, ci sono la corsa, la camminata e l’andare in biciletta. Fare soltanto i classici addominali, infatti, permette la tonificazione muscolare ma non brucerà l’adipe in eccesso. Secondo L’Università Duke mezz’ora di camminata al giorno per otto mesi permette di non accumulare grasso a livello addominale. Il jogging, invece, sembra che permetta persino di ridurlo del 7 per cento.
Un altro studio, condotto dall’Università del Minnesota ha preso in esame delle donne in sovrappeso che, dopo aver fatto due volte a settimana otto-dieci tipi di esercizi che coinvolgevano e tonificavano la maggior parte dei muscoli, hanno visto ridurre di ben il 67 per cento il grasso viscerale.

Questi semplici accorgimenti possono aiutarci a prevenire e ridurre il grasso addominale che, come ben sappiamo può portare, con il passare del tempo, a notevoli scompensi fisici.
È bene comunque dire che con l’avanzare degli anni, e in particolare dopo la menopausa, un fisiologico aumento del grasso addominale è perfettamente normale.
Quindi via libera a cibi salutari, tisane ed esercizi per mantenersi in forma, senza però l’ossessione di dover ottenere una pancia piatta come a vent’anni.
http://www.lastampa.it/2013/05/24/scienza/benessere/lifestyle/pancia-i-suggerimenti-per-la-prova-bikini-vh86ogRGOdxwaBSqQ8QEKJ/pagina.html

giovedì 23 maggio 2013

Cellulite, attenzione alla cottura dei cibi


Che le scelte alimentari influenzino la distribuzione del grasso sul corpo è effettivamente vero. Eppure spesso la quantità di sostanze nocive assunte e responsabili di inestetismi
come la cellulite, dipende più dal metodo di cottura che dagli alimenti stessi.

Secondo quanto emerso durante l'ultimo Congresso nazionale della Società italiana di Medicina Estetica tenutosi a Roma, non esistono cibi buoni o cattivi a prescindere. Il problema degli alimenti che finiscono sulle nostre tavole è legato alla quantità di Ages (Advanced Glycation End-product) che contengono: si tratta di composti molecolari molto aggressivi, in grado di alterare i tessuti cutanei rendendoli fragili.

Da qui deriva la comparsa di rughe e cellulite. Mantenere bassi i livelli di Ages (responsabili anche di alterazioni del sistema venoso, arterioso e linfatico) è possibile non solo curando l'alimentazione ma anche prediligendo i cibi crudi, cotti a vapore o a fuoco lento.

Mangiare meno carne arrosto e dolci cotti al forno, limitare l'uso di dolcificanti e il consumo di bevande zuccherate è quanto raccomandato dagli esperti.
http://salute.ilmessaggero.it/salute_donna/notizie/cellulite_cottura_cibi/280384.shtml


Piselli surgelati, il rimedio per i dolori


LM&SDP
Spesso si bollano i rimedi popolari come frutto di superstizioni, false credenze o che non hanno alcun fondamento scientifico – per cui è bene starci alla larga.
Tuttavia, come spesso accade, non sempre è così. Avviene allora che molti dei rimedi popolari o “della nonna” siano rivalutati anche dalla scienza e ritenuti efficaci.

E’ il caso dei piselli surgelati per trattare il dolore, anche cronico, delle articolazioni.
Prendendo spunto da questo rimedio popolare, un’azienda americana ha creato un prodotto per il trattamento del dolore articolare da artrite o a seguito di contusioni. Lo hanno chiamato Frozenpeaz (il nome ricorda infatti i piselli surgelati: da “frozen peas”, in inglese) ed è una sorta di busta contenente delle palline, simili a piselli, realizzate con sciroppo di mais solidificato e colorate di verde pisello.

Il rimedio, che i produttori assicurano essere efficace, può essere impiegato sia per la terapia con il freddo che con il caldo dato che, a seconda dell’uso, può essere fatto raffreddare o riscaldare.
Al pari di una confezione di piselli surgelati, si adatta bene al corpo per essere posto nella zona interessata dal dolore. A differenza dei tradizionali impacchi di ghiaccio o in gel, questo rimedio può essere riutilizzato e l’effetto è più duraturo.

La terapia del freddo agisce sui vasi sanguigni, che si restringono. Questo processo si ritiene porti sollievo dal dolore. Ecco perché, popolarmente, si utilizzano i piselli surgelati contenuti in un sacchetto. Un’altra variante di questo metodo sono i noccioli di ciliegia: anch’essi raffreddabili o riscaldabili in base alle necessità, e utilizzabili nel trattamento dei dolori. Questi, tra l’altro, si possono trovare anche come dispositivo medico registrato.
Gli esperti consigliano un’applicazione della durata di circa 20 minuti per ottenere un qualche beneficio. Gli stessi esperti ricordano che gli impacchi caldi e freddi hanno dimostrato di alleviare il dolore articolare nel breve termine, per cui anche questo genere di trattamento può essere utile al fine di ridurre il ricorso ai farmaci antidolorifici che possono avere effetti indesiderati.

Ecco dunque come un rimedio popolare sia rivalutato anche dalla scienza e, anche se non si pone come una soluzione definitiva – come anche il farmaco – può senz’altro offrire sollievo dal dolore senza essere invasivo o recare effetti collaterali. L’importante è utilizzarlo con cognizione di causa.

sabato 18 maggio 2013

Un soffio di colore


Stress e stanchezza si fanno sentire tutto l’anno, ma è in questo periodo che si possono leggere più facilmente sul viso. Risultato: segni d’espressione più marcati, pelle opaca, colorito spento. In attesa – o in sostituzione – di rilassanti e rivitalizzanti week end all’aria aperta, il make up può fare molto per migliorare la situazione, regalando un aspetto fresco e luminoso all'incarnato con l'aggiunta di un impercettibile e naturalissimo velo di colore.

Per ottenere questo risultato, l’alternativa ai cosmetici consueti  - fondotinta, terre, fard – sono le nuove beauty powder: non si limitano, come una semplice cipria a rifinire il trucco e ad opacizzare le zone “lucide” e non servono a modellare il viso creando giochi di chiaroscuro come il fard. Si applicano invece con leggeri movimenti circolari su tutto il viso, utilizzando un pennello morbido, e sono la soluzione ideale soprattutto per  le carnagioni molto chiare, perché riescono ad esaltare il tono naturale della pelle senza forzature, accendendo la naturale luminosità del viso.

Pienamente in sintonia con questi requisiti Les Beiges di Chanel, polvere compatta in cinque tonalità leggera e antiossidante, con  una formulazione ultra-protettiva  ricca di cellule vegetali di fiori di cotone e di rosa bianca. Regala alla pelle un effetto soft focus leggermente iridescente e rosato Diorskin Nude Rose Powder di Dior, che si può  applicare sui tratti in rilievo del viso per amplificare l’aspetto “rosy  nude”. Luminosità e freschezza sono anche gli obiettivi del nuovo Color Touch Highlighter di Pupa, texture modulabile e a lunga durata che riunisce tre diverse tonalità di rosa, da sfumare su guance e zigomi per creare un delicato effetto “bonne mine”.

BARBARA FERRERO (ALLURE)


(a cura di ALLURE)